ONE DAY
accademia degli artefatti
ONE DAY
finalmente vivere servirà a qualcosa
di Magdalena Barile/accademia degli artefatti
con Miriam Abutori, Michele Andrei, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Fabrizio Croci, Daria Deflorian, Pieraldo Girotto, Caterina Inesi, Luca Scarlini, Attilio Scarpellini, Caterina Silva, Sandra Soncini, Damir Todorovic, Ardecore, Dressed to Kiss, Portage Tony Clifton Circus.
scene Claudio Petrucci, Andrea Simonetti
cura degli ambienti Diego Labonia
video Lorenzo Letizia – Chant du jour
regia Fabrizio Arcuri
produzione accademia degli artefatti08/Romaeuropa festival/AREA06
Sinossi
24 ore tra Bucarest e Tijuana, ascoltando i Kiss e leggendo Brecht, rincorrendo la storia del mondo e del ‘900, in valigia la storia di ognuno di noi – l persone, attori e personaggi che siamo, in bilico tra pubblico e privato, tra personale e televisivo, al confine tra il frammento e l’epopea, grazie a Sophie Calle, Santiago Serra, Wang Quingsong; attori che dormono e tecnici che fanno monologhi e Li zTaylor finta che racconta la sua storia vera; una storia come un’altra: un ragazzino rumeno rapito e portato in Messico per venderne gli organi. Questo era ONEDAY, tre anni fa’. Oggi è questo e la sua assenza. Tutto questo e il suo racconto. E quindi oggi ONEDAY è di meno, ma solo per poter essere di più.
Nel 2008 Accademia degli artefatti ha tentato un impresa artistico-produttiva senza precedenti. Tre anni dopo, è un esperienza ancora senza precedenti. Oneday doveva essere uno spettacolo epopea, che sapesse raccontare mille storie e nessuna, raccontando in fondo il senso della rappresentazione e del teatro. E questo senso si è rivelato essere il fallimento stesso. Il senso del teatro oggi è la sua stessa incapacità di esistere, la sua inadeguatezza, la sua rincorsa. Il suo ostinatamente voler raccontare una contemporaneità che sembra espellerlo come un virus.
Nell’arco di un anno si è passati dalla fiducia in un progetto artistico ardito ad una sconfitta produttiva, che, oggi possiamo dirlo, anticipava i tempi bui che ora viviamo, la mancanza di prospettiva che ora subiamo.
Nell’autunno del 2010, all’interno della rassegna Novo Critico di Roma, Accademia degli artefatti ha portato in scena 9 delle 24 ore originali di Oneday, in forma di conferenza-spettacolo, intorno a uno spettacolo che proprio perché non è stato, è sempre sul punto di essere. Materiali drammaturgici, scenografie appena accennate, incursioni musicali e spettacolari più o meno citate, concerto della cover band dei Kiss, riflessioni e critica ‘in diretta’ allo spettacolo. 9 ore che sono uno spettacolo, che rimandano allo spettacolo che sarebbe stato, e che promettono lo spettacolo che potrebbe essere. Da qui l’idea di fare di questa operazione mai realmente portata a compimento, l’occasione per pensare uno spettacolo nuovo, da produrre ancora, da remigare. Uno spettacolo già prodotto, ma mai realizzato, e quindi ora da ri-produrre.
-------------
PRESENTAZIONE DELLO SPETTACOLO NELLA SUA EDIZIONE 2008
24 ore tra Bucarest e Tijuana ascoltando i Kiss e leggendo Brecht
ogni evento ha un’ora. c’è un’ora per ogni evento – pubblico o privato che sia
grazie a Sophie Calle, Santiago Serra, Wang Quingsong, Cindy Sherman
attori che dormono e tecnici che fanno monologhi e Liz Taylor finta che racconta la sua storia vera
una storia come un’altra: un ragazzino rumeno rapito e portato in Messico per venderne gli organi
“One Day” un ragazzino rumeno viene rapito nel giorno della sua prima comunione e portato in Messico, dove vogliono estrargli gli organi per venderli sul mercato nero. Questa è una storia dello spettacolo: una vicenda che avviene durante lo spettacolo, nello spettacolo, o che semplicemente lo spettacolo ogni tanto segue, rincorre, racconta. Il pubblico fa un viaggio nello spazio, da Bucarest a Tijuana, seguendo le vicende del rapimento. Il ragazzino è un fan dei Kiss e proprio i Kiss gli appaiono. Un po’ come Elvis Presley nei tre episodi di Mistery Train di Jim Jarmush e un po’ come gli dei nelle tragedie classiche, che vengono per aiutare il nostro eroe e ripristinare le regole. I Kiss nello spettacolo compaiono sotto forma di cover-band italiana dei Kiss, con le canzoni e il look dei veri Kiss. Una telecamera nei camerini riprende la preparazione dei musicisti, il trucco e la “vestizione” prima dell’entrata in scena. È un riferimento ai riti del teatro Nô giapponese, una citazione deforme e pop. Ed è al teatro Nô che si rivolgeva anche Brecht. E sono proprio brandelli di testi di Brecht a diventare nuclei tematici e drammaturgici di One Day.
One Day si propone come un luogo e un tempo che ospitino il teatro in tempi in cui il teatro fatica a essere ospitato. È uno spettacolo sulle modalità produttive di fare spettacolo, sul senso di fare spettacolo, sul senso di non farlo. Uno spettacolo per il pubblico, sul pubblico e del pubblico. È uno spettacolo fatto di eccezioni. È uno spettacolo che porta se stesso alle estreme conseguenze, rinunciando anche all’illusione della bellezza. Uno spettacolo pornografico, contro la pornografia; una storia emozionante contro l’emozione, contro il turbamento. Un racconto sul futuro, One Day non è un evento, ma è uno spettacolo sull’evento. Dura 24 ore, non ha inizio e non ha fine: è già iniziato quando entra il primo spettatore e termina solo dopo che se ne andrà l’ultimo. La sua compiutezza risiede nella durata. Rimanda alla classicità della tragedia, dell’epopea, più che alla performatività contemporanea. Nel suo intero sviluppo mescola i generi, li ri-produce, li parodia, li rifiuta. È una festa, un’occasione di incontro tra spettacolo e pubblico, entrambi forzati alla reciproca – a tratti estenuante – comprensione. È anche un musical, che però si vergogna di esserlo. “Finalmente vivere servirà a qualcosa” non è solo un sottotitolo: è un indicazione estetica e di lavoro, che fa propria e insieme condanna la tendenza tipica dei nostri anni a riprodurre, filmare, fotografare, inquadrare ogni avvenimento e ogni luogo. Finalmente vivere servirà a qualcosa racconta della nostra incapacità di coincidere con il momento che viviamo, con il “qui e ora”; racconta l'impossibilità di esserci completamente, il continuo slittamento, l'essere sempre in ritardo o in anticipo. La riproducibilità dell’evento si sostituisce all’esperienza vissuta.
Ognuna delle 24 ore dello spettacolo prevede il riferimento a un fatto del Novecento avvenuto ‘in quell’ora lì’. Ogni ora è poi anche l’occasione per ogni attore di raccontare la sua “giornata perfetta”. Il piano politico e quello privato si riverberano l’uno sull’altro e si associano a dei temi più generali, in un continuo traslare dal macro al microcosmo, proprio come nelle opere di Sophie Calle. Per ogni tema affrontato viene sviluppata una scena tratta dai testi di Bertolt Brecht. La scelta di Brecht come drammaturgo di riferimento ha diverse ragioni: la portata politica dei suoi testi – per i temi trattati, per il passaggio continuo tra la singola vicenda e la storia dell'Uomo – e il loro costruirsi e rimandare al teatro epico, un teatro, cioè, che passa dal rappresentare al commentare. Poi l'uso della musica come piano ulteriore di significazione. E ancora, la riflessione sul rapporto fra spettacolo e spettatore. Una concezione del teatro che si autofonda, quasi artigianalmente, nella relazione con lo spettatore. Una concezione dell'attore che non dimentica, e non permette al pubblico di dimenticare, che egli è colui che rappresenta e non la persona rappresentata, e che le opinioni e le reazioni di chi rappresenta e di chi è rappresentato non coincidono.
-------------
LETTERA DI ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI
PRIMO PASSO PER L’ELABORAZIONE DI UN LUTTO ARTISTICO
Accademia degli artefatti e le altre 47 persone coinvolte nel progetto ONEDAY (attori, attrici, compagnie, gruppi musicali, coreografi, danzatori, cantanti e tecnici) si arrendono, dopo quattro mesi di lavoro, sempre fortemente sostenuto da RomaEuropaFestival e ReggioEmiliaContemporanea, segnati però dall'annullamento decisivo di quattro coproduttori che per motivi economici e politici ('locali' e di sistema) hanno dovuto ritirare o ridimensionare decisamente la loro partecipazione.
La complessita' e l'ambizione del progetto richiedevano il rispetto di parametri tecnici e qualitativi per i quali a tre settimane dal debutto non erano registrabili le condizioni necessarie, facendo intravedere o la mortificazione artistica e politica del lavoro o la sua stessa impossibilità.
Ci siamo fermati poco prima di essere a nostra volta un
problema politico e economico per le produzioni complici che
hanno creduto, sostenuto e affiancato ONEDAY e lo hanno accompagnato fino a quando e' stato possibile, nelle figure dei direttori artistici Fabrizio Grifasi e Daniele Abbado, ai quali va tutta la
nostra stima e gratitudine.
Sono stati quattro mesi di prove segnate da dimissioni di direttori artistici, arresti di Sindaci corrotti, cancellazione o ridimensionamento di festival per mancanza di economie, per superficialita' e indifferenza.
Questa fine fa parte del senso e della storia dello spettacolo, ed è specchio di una realtà italiana. Questa fine è lo spettacolo. Purtroppo.
Ancora un ringraziamento a tutte le persone e le strutture che hanno prestato lavoro e cura e hanno reso possibili l'ipotesi creativa e l'ideazione drammaturgica e scenica di questo complesso lavoro di condivisione che è stato ONEDAY. Lo spettacolo stesso voleva essere un ringraziamento e un atto di condivisione che la sua stessa impraticabilità rivela ora come eccezionale.
‘come si fa?’
‘immagina di essere un film che viene bocciato senza sufficienti motivi. Ecco ora cambiati il finale e tagliati dieci scene, da solo’
‘ci fermiamo? Solo se ci fermano’
‘…voi no ve ne siete accorti ma siete già invischiati in un processo che vi condurrà ad un’unica, inevitabile ed estrema conseguenza, che qui chiamaremo convenzionalmente fine’
ONEDAY contemplava già in sé lo sgomento artistico e produttivo, la precarietà creativa, e anche l’estrema conseguenza. Aveva già le parole per dirla. Gliel’hanno tolte. (scusate ma ‘per adesso è impossibile dirlo senza retorica. ma mai dire mai’)
Semplicemente lo spettacolo avrebbe desiderato arrivare alla sua fine reale e convenzionale facendo il suo lavoro di spettacolo. Rivelando al pubblico il suo cammino. La fine l’avrebbe voluta come limite convenzionale di un viaggio artistico molto più ampio. L’avrebbe voluta come giusto e meritato riposo. Come soddisfazione. Come sguardo indietro al bello che è stato. Come confronto con il suo pubblico - che a quel punto se quella strada fosse stata davvero percorsa non sarebbe stato più solo pubblico, ma altro e di più. Invece la fine è arrivata come un virus, come una malattia, che prima ha indebolito il lavoro, e poi inesorabilmente l’ha fermato.
Per quattro mesi, un gruppo di persone ha immaginato e costruito un progetto che da subito rivelava l’irresponsabilità dell’ambizione e la responsabilità dell’urgenza.
Abbiamo tentato di stare il più vicino possibile alla realtà senza forzarne i contenuti, lavorando all’individuazione di meccanismi capaci di contenere del senso senza la pretesa di spiegarlo, sperimentando forme interpretative e drammaturgiche che si contraddicessero a vicenda per trovare corrispondenze. Ci siamo esposti tutti, con lucida abnegazione al progetto, alle contingenze del caso. Contingenze, che però, come vuole il presente, sono scomode e fragili.
Noi abbiamo fatto in tempo a regalare ONEDAY un inizio impossibile, la struttura di una tragedia, la vitalità e la ricchezza di un musical, un bel panorama, una sorprendente dimensione politica, un’eccedenza artistica. La fine se l’è scritta da solo – tradimento di desideri suoi e nostri. La sua irrappresentabilità, filologicamente ineccepibile, è ora solo rabbia e dolore. Non era così doveva andare. Ecco adesso l’urgenza di rappresentare anche questo.
Finita la parte triste. Comincia la parte che spera. Arriverà un altro giorno,. Quel giorno, come facciamo ogni mattina, capiremo se ci sono le condizioni, se è tempo di ricominciare. Quel giorno, finalmente vivere e lavorare servirà a qualcosa. Un giorno, ONEDAY.
Modalità di tournée
ONE DAY può essere presentato come evento di 24 ore o possono esserne proposte delle sezioni della durata da 4 a 6 ore.
ULTIMO SPETTACOLO
-
9 Gennaio 2020
My Arm
- > scheda
-
Teatri di Vitavia Emilia Ponente, 485 - Bologna
NEWS
-
per info: accademiadegliartefatti@gmail.com
-
Collaborazioni artistiche
dal 2015 accademia degli artefatti accompagna artisticamente e cura la produzione di altre compagnie ed artisti:
Compagnia FrosiniTimpano
Compagnia AngiusFesta
Michele di Mauro per lo spettacolo Confessione